Ricorso nell'interesse della Regione Lombardia (codice fiscale n.
80050050154), con sede in Milano - Piazza Citta' di Lombardia  n.  1,
in persona del presidente pro tempore, dott. Roberto Maroni,  nato  a
Varese il 15 marzo 1955,  rappresentata  e  difesa,  ai  sensi  della
delibera della giunta regionale n. 6622 del  19  maggio  2017  e  per
mandato a margine del presente atto, dall'avv. Maria Lucia  Tamborino
dell'Avvocatura regionale, elettivamente domiciliata presso lo studio
dell'avv. Ulisse Corea in Roma, via di Villa Sacchetti, 9. 
    (Si indica il recapito di fax e l'indirizzo di posta  elettronica
certificata  del  legale  domiciliatario  avv.  Ulisse  Corea:   fax:
06-36001570; pec: ulissecorea@ordineavvocatiroma.org). 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  con  domicilio  in  Roma  (00186),  via  dei
Portoghesi, 12. 
    Per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
3, dell'art. 4, comma 4, e dell'art. 7,  comma  1,  lettera  d),  del
decreto legislativo 6  marzo  2017,  n.  40  recante  «Istituzione  e
disciplina del servizio civile universale, a norma dell'art. 8  della
legge 6 giugno 2016, n. 109», pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale,
Serie generale, n. 78 del 3 aprile 2017. 
    1. Il decreto legislativo n. 40  del  6  marzo  2017  recante  la
«Istituzione e disciplina del servizio  civile  universale,  a  norma
dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 109», e' stato adottato, in
attuazione della delega di cui all'art. 1, comma 2, lettera d)  della
legge n. 106 del 2016, per la revisione della disciplina  in  materia
di  servizio  civile  nazionale,  tenuto  conto  di  quanto  previsto
dall'art. 1 della legge 6 marzo 2001,  n.  64,  e  nel  rispetto  dei
principi e criteri direttivi di cui al successivo art. 8 della  legge
n. 106 del 2016. 
    2. La delega deve essere esercitata nel rispetto dei  principi  e
dei criteri direttivi di cui all'art. 8 della citata legge n. 106 del
2016. I principi ed i criteri direttivi sono i seguenti: 
    «a) istituzione del servizio civile  universale  finalizzato,  ai
sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della  Costituzione,  alla
difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi
della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4,  secondo
comma, della Costituzione; 
    b) previsione  di  un  meccanismo  di  programmazione,  di  norma
triennale,  dei  contingenti  di   giovani   italiani   e   stranieri
regolarmente soggiornanti, di eta' compresa tra 18  e  28  anni,  che
possono essere ammessi al servizio civile  universale  tramite  bando
pubblico e di procedure di selezione e avvio dei giovani improntate a
principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione; 
    c) definizione dello status  giuridico  dei  giovani  ammessi  al
servizio  civile  universale,  prevedendo  l'instaurazione,   fra   i
medesimi giovani e lo Stato, di uno specifico  rapporto  di  servizio
civile  non  assimilabile  al  rapporto  di  lavoro,  con  previsione
dell'esclusione di tale prestazione da ogni imposizione tributaria; 
    d) attribuzione allo  Stato  delle  funzioni  di  programmazione,
organizzazione,  accreditamento  e  controllo  del  servizio   civile
universale; 
    realizzazione, con il coinvolgimento delle regioni, dei programmi
da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del
Terzo settore; 
    possibilita' per le regioni, gli  enti  locali,  gli  altri  enti
pubblici territoriali e  gli  enti  del  Terzo  settore  di  attivare
autonomamente progetti di servizio civile  con  risorse  proprie,  da
realizzare presso soggetti accreditati; 
    e) previsione di criteri e modalita' di accreditamento degli enti
di servizio civile  universale,  tenendo  conto  di  quanto  previsto
dall'art. 3 della legge  6  marzo  2001,  n.  64,  nell'ottica  della
semplificazione e della trasparenza; 
    f) previsione di criteri e  modalita'  di  semplificazione  e  di
trasparenza  delle   procedure   di   gestione   e   di   valutazione
dell'attivita' svolta dagli enti di servizio civile universale, anche
con riferimento ai contributi  finanziari  erogati  dalle  competenti
strutture della Presidenza del Consiglio dei  ministri  in  relazione
all'attuazione dei progetti di servizio civile universale,  a  carico
del Fondo nazionale per il servizio civile; 
    g)  previsione  di  un  limite  di  durata  del  servizio  civile
universale, non inferiore a otto mesi complessivi  e,  comunque,  non
superiore a un anno, che contemperi le finalita' del servizio con  le
esigenze  di  vita  e  di  lavoro  dei  giovani  coinvolti,  e  della
possibilita' che il servizio sia prestato, in  parte,  in  uno  degli
Stati   membri   dell'Unione   europea   nonche',   per    iniziative
riconducibili alla promozione della pace e della nonviolenza  e  alla
cooperazione allo sviluppo, anche nei Paesi al di  fuori  dell'Unione
europea; 
    h) riconoscimento e  valorizzazione  delle  competenze  acquisite
durante l'espletamento del servizio civile universale in funzione del
loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo; 
    i) riordino e revisione della Consulta nazionale per il  servizio
civile, quale organismo di consultazione, riferimento e confronto per
l'amministrazione, sulla base del principio di rappresentativita'  di
tutti   gli   enti   accreditati,   anche   con   riferimento    alla
territorialita' e alla rilevanza per ciascun settore di intervento». 
    3. Per quel che piu' interessa, l'art. 8,  comma  1,  lettera  d)
attribuisce   allo   Stato   «le    funzioni    di    programmazione,
organizzazione,  accreditamento  e  controllo  del  servizio   civile
universale», senza formulare alcun riferimento espresso alle regioni. 
    Alla medesima lettera (secondo periodo), si prevede  invece  «con
il coinvolgimento delle regioni» la realizzazione «dei programmi»  da
parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali  ed  enti  del
Terzo settore. 
    La stessa disposizione (terzo periodo) attribuisce, inoltre, alle
regioni e  agli  enti  sopra  menzionati  la  facolta'  «di  attivare
autonomamente progetti di servizio civile  con  risorse  proprie,  da
realizzare presso soggetti accrediti». 
    La lettera d) del  comma  1,  art.  8,  legge  n.  106  del  2016
attribuisce alle regioni compiti e competenze al secondo ed al  terzo
periodo mentre nulla dice nel primo periodo circa il  «coinvolgimento
delle regioni»: il mancato espresso riferimento  alle  regioni  nella
legge delega laddove la norma attribuisce allo Stato «le funzioni  di
programmazione,  organizzazione,  accreditamento  e  controllo»   non
significa pero' che le regioni non dovessero essere poi inserite  dal
decreto  legislativo,   quale   soggetto   «parte   necessaria»   del
procedimento ivi previsto  tant'e'  che  il  decreto  legislativo  lo
prevede ma limitando l'intervento  regionale  ad  un  parere,  mentre
avrebbe dovuto prendere la forma di una intesa. 
    La disposizione della legge delega avrebbe dovuto tradursi in una
norma delegata  costituzionalmente  conforme,  come  avremo  modo  in
seguito di dimostrare. 
    Gli ultimi due periodi prevedono espressamente il «coinvolgimento
delle regioni» perche' senza una espressa previsione di attribuzioni,
le regioni non avrebbero potuto ne'  partecipare  alla  realizzazione
dei programmi di altri enti ne' avrebbero potuto avere la potesta' di
attivare autonomamente progetti di servizio civile. 
    Con riguardo alle funzioni previste nel  primo  periodo,  invece,
non era  necessario  una  espressa  previsione  della  partecipazione
regionale perche' non si trattava di attribuire nuove  funzioni  come
negli altri due casi: il decreto legislativo non ha attuato la  legge
delega in senso costituzionalmente conforme, prevedendo  all'art.  4,
comma 4, il rilascio di parere e non  la  formazione  di  una  intesa
forte. 
    4. L'art. 3 del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 elenca le
aree  di  intervento  del  decreto  e  tra  esse  inserisce  aree  di
competenza  regionale,  residuale  e  concorrente.   Tra   esse,   in
particolare, e' inserita  la  materia  dei  servizi  sociali  che  e'
materia a competenza concorrente di forte impegno, anche finanziario,
da parte delle Regioni; la disposizione, pertanto, appare lesiva  del
principio di leale collaborazione allorquando si legga unitamente  al
successivo art. 4, comma 4, in cui vengono previste le  modalita'  di
intervento delle Regioni sulle materie elencate  all'art.  3  che  di
seguito si tiene a riportare: «I settori di intervento nei  quali  si
realizzano  le  finalita'  del  servizio  civile  universale  di  cui
all'art. 2 sono i seguenti: 
    a) assistenza; 
    b) protezione civile; 
    c) patrimonio ambientale e riqualificazione urbana; 
    d) patrimonio storico, artistico e culturale; 
    e) educazione e promozione culturale e dello sport; 
    f)  agricoltura  in  zona  di  montagna,  agricoltura  sociale  e
biodiversita'; 
    g) promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e  della
difesa  non  armata;  promozione  e   tutela   dei   diritti   umani;
cooperazione  allo  sviluppo;  promozione  della   cultura   italiana
all'estero e sostegno alle comunita' di italiani all'estero». 
    Come  puo'  avvedersi  quasi  la  totalita'   dei   «settori   di
intervento» di cui  all'art.  3  intersecano  materie  di  competenza
regionale,  residuale  e   concorrente.   La   disposizione   diviene
naturalmente lesiva nel momento in cui su detti settori  l'intervento
regionale venga limitato al rilascio di un parere e non di un'intesa. 
    5. L'art. 4, comma 4, del decreto legislativo 6  marzo  2017,  n.
40, nell'ambito  della  programmazione  ed  attuazione  del  servizio
civile universale, si limita a prevedere un parere delle  regioni  in
fase di predisposizione del piano triennale e dei piani annuali e  un
previo parere della Conferenza Stato-Regioni in fase di  approvazione
di detti piani (triennale ed annuali). 
    Tale forma  di  coinvolgimento  appare  inadeguata  a  soddisfare
l'esigenza di assicurare la partecipazione dei livelli di  governo  a
fronte di una concorrenza di competenza che in base agli orientamenti
di codesta Ecc.ma Corte, richiederebbe, invece, una intesa forte. 
    In particolare, la disposizione e' lesiva del principio di  leale
collaborazione di cui agli articoli 114, comma 1, cost.; viola l'art.
118, comma 3, cost. laddove prevede forme di coordinamento ed  intesa
nelle materie della immigrazione e della tutela dei  beni  culturali,
considerato che l'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017  prevede
all'art. 3 tra i settori di intervento alla  lettera  d)  quello  del
«patrimonio storico, artistico e culturale» ed  alla  lettera  g)  la
«promozione e tutela dei diritti umani». 
    La  disposizione  e',  quindi,  e'  lesiva   del   principio   di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    Ed infatti, la norma cosi' dispone:  «Il  Piano  triennale  ed  i
Piani annuali sono predisposti dalla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti
dall'art. 3 e le regioni e sono approvati con decreto del  Presidente
del Consiglio dei ministri, previo parere  della  Consulta  nazionale
per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano». 
    La norma e' richiamata all'art.  7,  comma  1,  lettera  a),  del
decreto legislativo n. 40 del 2017. 
    6. L'art. 7, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 6  marzo
2017, n. 40  subordina  l'attuazione,  da  parte  delle  Regioni,  di
programmi di servizio civile universale, con  risorse  proprie,  alla
previa approvazione della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
consistente  nella  verifica  del  rispetto  dei  principi  e   delle
finalita' del servizio civile universale. Tale previsione  e'  lesiva
del principio di autonomia finanziaria  di  spesa  riconosciuta  alle
Regioni  dall'art.  119,  comma  1,  cost.,  laddove  prevede  che  i
programmi di servizio civile universale -  per  quanto  adottati  con
«risorse  proprie»  delle   regioni,   siano   soggetti   a   «previa
approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente
nella verifica del  rispetto  dei  principi  e  delle  finalita'  del
servizio civile universale di cui al presente decreto.»  Infatti,  la
disposizione di cui all'art. 7, comma 1, lettera d) cosi' recita: «Le
regioni e le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano:  attuano
programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso  i
soggetti  accreditati  all'albo  degli  enti   di   servizio   civile
universale, previa approvazione della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, consistente nella verifica  del  rispetto  dei  principi  e
delle finalita' del servizio civile universale  di  cui  al  presente
decreto». 
    La disposizione non e' rispettosa della legge delega n.  106  del
2016 (art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo) laddove prevede  la
«possibilita' per le regioni ... di attivare  autonomamente  progetti
di servizio civile con risorse proprie da realizzare presso  soggetti
accreditati». 
    Il decreto legislativo all'art. 7, comma 1, lettera d) limita  la
potesta' regionale di cui alla legge delega  prevedendo  una  «previa
approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri» il  che  si
traduce,  appunto,  in  una  limitazione  della  potesta'   regionale
attribuita dalla legge delega come «autonoma» da esercitarsi a valere
su «risorse proprie» ed al  contempo,  in  un  ulteriore  ed  inutile
passaggio  procedurale,  in  violazione  del   principio   di   buona
amministrazione. 
    L'autorizzazione  prevista  dall'art.  7,  comma  1,  lettera  d)
diviene un improprio ed illegittimo sub procedimento all'interno  del
procedimento regionale, come previsto dalla legge delega, espressione
della volonta' governativa di esercitare un controllo  finanziario  e
di merito dei programmi regionali di servizio civile. 
    Pertanto, la disposizione  in  parola  aggiunge  un  quid  pluris
rispetto alla norma di delega (art. 8, comma  1,  lettera  d),  terzo
periodo della legge delega); e' lesiva del principio di  attribuzione
di cui all'art. 117 cost.; e' lesiva del principio di  sussidiarieta'
di cui all'art. 118 cost.;  e'  lesiva  del  principio  di  autonomia
finanziaria di  cui  all'art.  119  cost.  ed  infine,  e'  posta  in
violazione del principio di buona amministrazione e ragionevolezza. 
    Tutto cio' premesso, con il presente ricorso, Regione  Lombardia,
come in atti rappresentata e difesa,  impugna  l'art.  3,  l'art.  4,
comma 4, e l'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto  legislativo  6
marzo 2017, n. 40 recante  «Istituzione  e  disciplina  del  servizio
civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016,  n.
109», in  quanto  disposizioni  lesive  delle  proprie  attribuzioni,
costituzionalmente garantite, avendo limitato il coinvolgimento delle
regioni, in materie di competenza, concorrente o residuale,  al  mero
rilascio di un parere in fase di predisposizione del piano  triennale
e  dei  piani  annuali  e  di  un  previo  parere  della   Conferenza
Stato-Regioni, in fase di approvazione di detti piani, oltre ad  aver
previsto che eventuali programmi regionali da adottarsi  con  risorse
proprie, siano soggetti a previa autorizzazione della Presidenza  del
Consiglio dei ministri, 
    Si ritiene, da un lato, che sarebbe  stato  conforme  alla  Carta
costituzionale la previsione/prescrizione di una  Intesa  «forte»  ex
art. 8, comma 6, della legge 131/2003, in luogo del citato parere,  e
dall'altro, che l'attuazione di programmi regionali,  specie  laddove
siano realizzati con risorse proprie, non possa essere sottoposta  ad
una preventiva autorizzazione del Governo. 
    Quanto sopra in ragione del fatto che i suddetti  piani  incidono
anche su ambiti di competenza  regionale,  con  particolare  riguardo
alla materia dei servizi sociali di competenza  residuale,  e  quindi
necessiterebbero di un coinvolgimento piu' incisivo. 
    Appare insufficiente al riguardo la previsione di cui all'art.  5
comma 6,  laddove  si  prevede:  «[i]  programmi  di  intervento  che
riguardano specifiche aree territoriali di una singola regione  o  di
piu' regioni limitrofe sono valutati ed  approvati  dalla  Presidenza
del Consiglio dei ministri  d'intesa  con  le  regioni  interessate»,
poiche' tali programmi scontano, comunque, la mancanza di un'Intesa a
monte. 
 
                               Diritto 
 
    Prima di' esporre i singoli motivi di gravame,  appare  opportuno
formulare alcuni brevi cenni sull'Istituto in esame. 
    Il Servizio Civile nazionale (di seguito SCN) nasce  nel  2001  a
seguito della approvazione della legge n. 64 del 2001; e' un servizio
volontario destinato ai giovani dai 18 ai 26 anni, aperto anche  alle
donne, che intendono effettuare un percorso  di  formazione  sociale,
civica, culturale e professionale attraverso  l'esperienza  umana  di
solidarieta'  sociale,  attivita'  di   cooperazione   nazionale   ed
internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale. 
    La  legge  64/01  prevede  all'art.  l  il  raggiungimento  delle
seguenti finalita': 
        concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio,
alla difesa della Patria con mezzi ed attivita' non militari; 
    favorire  la  realizzazione  dei   principi   costituzionali   di
solidarieta' sociale; 
    promuovere la solidarieta' e la cooperazione, a livello nazionale
ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela  dei  diritti
sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace  fra  i
popoli; 
    partecipare alla  salvaguardia  e  tutela  del  patrimonio  della
Nazione,   con   particolare   riguardo   ai   settori    ambientale,
storico-artistico, culturale e della protezione civile; 
    contribuire  alla  formazione  civica,   sociale,   culturale   e
professionale dei giovani mediante attivita' svolte anche in enti  ed
amministrazioni operanti all'estero. 
    La legge ha visto convivere, in una  prima  fase,  due  forme  di
Servizio civile: obbligatorio, per gli obiettori di coscienza  e,  su
adesione volontaria, per le giovani donne  secondo  alcuni  requisiti
previsti dalla normativa. 
    La sospensione della  leva  obbligatoria,  prevista  dalla  legge
226/2004, ha decretato nel 2005  la  fine  di  questa  prima  fase  e
l'avvio della  seconda  con  la  partecipazione  al  Servizio  civile
nazionale di tutti i giovani, di entrambi i sessi,  tramite  adesione
volontaria. Al contempo il 1° gennaio 2005 viene sospeso il  servizio
di leva, cessa il servizio civile sostitutivo (legge n. 230 del 1998)
e resta, solo il Servizio Civile Nazionale (Legge n.  64  del  2001).
Inizia,appunto,una nuova seconda fase del Servizio Civile Nazionale. 
    Il 1° gennaio entra in vigore il d.lgs 5 aprile 2002, n.  77  che
determina il trasferimento delle competenze gestionali del  SCN  alle
Regioni e Province autonome - tenute ad  istituire  l'albo  regionale
degli Enti SCN appartenenti al proprio territorio, la soppressione di
tutte le sedi periferiche dell'UNSC e la contestuale costituzione del
Servizio Civile Nazionale, in ogni capoluogo di Regione  e  Provincia
autonoma. 
    In occasione della disciplina della rappresentanza dei  volontari
di SCN, che sostituisce quella degli obiettori di coscienza  presenti
nella Consultanazionale per il  servizio  civile,  organo  consultivo
dell'Ufficio previsto dalla legge 230/98, il  regolamento  prevede  4
rappresentanti nazionali, rappresentativi delle 4  macro-aree:  Nord,
Centro, Sud, Estero, ma anche la figura dei rappresentanti  regionali
e quella dei delegati  regionali.Il  rilievo  regionale  del  SCN  si
concretezza anche in forme di rappresentanza, quindi. 
    Il 10 luglio 2014, il Consiglio dei Ministri approva  il  disegno
di legge «Delega  al  Governo  per  la  riforma  del  Terzo  settore,
dell'impresa  sociale  e  per  la  disciplina  del  Servizio   civile
universale» che diviene  legge  6  giugno  2016,  n.  106.  L'art.  1
prevede,  tra  l'altro,  la  delega  al  Governo  per  la   revisione
dell'attuale disciplina  in  materia  di  servizio  civile  nazionale
(decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 e legge 6  marzo  2001,  n.
64), per l'istituzione di un servizio civile universale,  finalizzato
alla difesa non  armata,  ai  sensi  dell'art.  52,  primo  comma,  e
dell'art. 11 della Costituzione. Tra i principi e  criteri  direttivi
individuati nella riforma, si segnala la previsione di un  meccanismo
di programmazione almeno triennale dei  contingenti  di  giovani  che
possono essere ammessi al servizio civile universale e  di  selezione
ed avvio improntati a principi di semplificazione, trasparenza e  non
discriminazione. 
    Tra i principi e criteri direttivi la riforma  include  anche  la
«realizzazione, con il coinvolgimento delle regioni, dei programmi da
parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali  ed  enti  del
Terzo settore», nonche' la «possibilita' per  le  regioni,  gli  enti
locali, gli altri enti pubblici territoriali e  gli  enti  del  Terzo
settore di attivare autonomamente progetti di  servizio  civile,  con
risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati» [art.  8,
comma 1, lettera d)]. 
    Usando delle stesse parole di codesta Ecc.ma Corte  (sentenza  25
giugno 2015, n. 119), possiamo  dire  che  «l'istituto  del  servizio
civile ha subito una rilevante trasformazione a seguito dei  ripetuti
interventi legislativi che ne hanno modificato i contorni. 
    Dall'originaria matrice di prestazione sostitutiva  del  servizio
militare di  leva,  che  trovava  il  suo  fondamento  costituzionale
nell'art. 52 Cost., esso si qualifica ora come istituto  a  carattere
volontario, al quale si accede per pubblico concorso. L'ammissione al
servizio civile consente oggi di realizzare i doveri inderogabili  di
solidarieta' e di rendersi  utili  alla  propria  comunita',  il  che
corrisponde, allo  stesso  tempo,  ad  un  diritto  di  chi  ad  essa
appartiene. 
    In realta', e' lo  stesso  concetto  di  «difesa  della  Patria»,
nell'ambito del quale e' stato tradizionalmente collocato  l'istituto
del servizio civile, ad evidenziare una significativa evoluzione, nel
senso dell'apertura di molteplici valori costituzionali. 
    [..] il dovere di difesa della Patria non si risolve soltanto  in
attivita'  finalizzate  a  contrastare  o  prevenire   un'aggressione
esterna, ma puo' comprendere anche attivita' di impegno  sociale  non
armato. 
    Accanto alla difesa militare, che  e  solo  una  delle  forme  di
difesa della Patria, puo' dunque ben  collocarsi  un'altra  forma  di
difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti  nella
solidarieta'  e   nella   cooperazione   a   livello   nazionale   ed
internazionale (sentenza n. 228 del 2004)». 
    La pronuncia n. 228 del 2004, per la prima volta, ha riconosciuto
che la difesa della Patria - come sacro dovere del cittadino -  debba
avere una estensione piu' ampia  dell'obbligo  di  prestare  servizio
militare, potendo quindi ricomprendere una altra forma di difesa, per
cosi'  dire  «civile»   che   si   traduce   nella   prestazione   di
«comportamenti di impegno sociale non armato». 
    La Corte costituzionale, con la sentenza 25 giugno 2015, n.  119,
precisa che «in coerenza con tale evoluzione, questa  Corte  ha  gia'
richiamato la necessita' di una lettura dell'art. 52 Cost. alla  luce
dei doveri inderogabili di solidarieta' sociale  di  cui  all'art.  2
Cost. (sentenza n. 309 del 2013). ... 
    Inoltre, sotto un  diverso  profilo,  l'estensione  del  servizio
civile a finalita' di solidarieta' sociale, nonche' l'inserimento  in
attivita'   di   cooperazione   nazionale   ed   internazionale,   di
salvaguardia  e  tutela  del  patrimonio  nazionale,   concorrono   a
qualificarlo  -  oltre  che  come  adempimento  di   un   dovere   di
solidarieta' -  anche  come  un'opportunita'  di  integrazione  e  di
formazione alla cittadinanza. Come gia' affermato  da  questa  Corte,
l'attivita' di impegno sociale che la persona e' chiamata a  svolgere
nell'ambito del servizio civile «deve essere ricompresa tra i  valori
fondanti dell'ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti
inviolabili   dell'uomo,   come   base   della   convivenza   sociale
normativamente prefigurata dal  Costituente»  (sentenza  n.  309  del
2013)». 
    In relazione all'assetto delle competenze legislative in  materia
di  servizio  civile   nazionale   (ora   «universale»),   la   Corte
costituzionale   ha   rinvenuto   il   titolo    costituzionale    di
legittimazione dell'intervento statale nell'art. 117, secondo  comma,
lettera  d),  della  Costituzione,  che  riserva  alla   legislazione
esclusiva dello Stato non solo la materia «forze armate» ma anche  la
materia della «difesa». «Quest'ultima previsione  deve  essere  letta
[infatti] alla luce delle evoluzioni  normative  e  giurisprudenziali
che gia' avevano consentito di ritenere che la 
    «difesa della Patria» non si  risolvesse  soltanto  in  attivita'
finalizzate  a  contrastare  o  prevenire  una  aggressione  esterna,
potendo comprendere anche attivita' di  impegno  sociale  non  armato
[..]. 
    Accanto alla difesa «militare», che e' solo una forma  di  difesa
della Patria, puo' ben dunque collocarsi un'altra  forma  di  difesa,
per cosi' dire, «civile»,  che  si  traduce  nella  prestazione  [di]
comportamenti di impegno sociale non armato.» (in tal senso  sentenza
n. 228/2004, richiamata dalla sentenza n. 431/2005) 
    «La  riserva  allo  Stato  della  competenza  a  disciplinare  il
servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di  difesa
della Patria, - ha tuttavia precisato la Corte -  non  comporta  [..]
che ogni aspetto dell'attivita'  dei  cittadini  che  svolgono  detto
servizio ricada nella competenza statale». 
    La  Corte  costituzionale  precisa,  quindi,  che  «vi  rientrano
certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio. 
    Questo, in concreto, comporta lo  svolgimento  di  attivita'  che
investono i piu' diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale,
la tutela dell'ambiente, la protezione civile: attivita' che, per gli
aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla  disciplina
dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del  caso,
alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte
salve le  sole  specificita'  direttamente  connesse  alla  struttura
organizzativa del servizio e alle regole previste  per  l'accesso  ad
esso.» 
    «[..]  E',  inoltre,  evidente  che,  nelle  ipotesi  in  cui  lo
svolgimento delle attivita' di servizio civile ricada entro ambiti di
competenza delle Regioni  o  delle  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano, l'esercizio delle funzioni spettanti, rispettivamente,  allo
Stato ed  ai  suddetti  enti,  dovra'  improntarsi  al  rispetto  del
principio della leale collaborazione tra enti  parimenti  costitutivi
della Repubblica (art. 114, primo comma, della Costituzione).» 
    Quest'ultimo passaggio della pronuncia  costituisce  per  Regione
Lombardia il presupposto fondante l'odierno ricorso: la riserva  allo
Stato della materia della difesa ex art. 52 cost. non vuol  dire  che
nelle ipotesi in cui il SNC ricada in ambiti di competenza regionale,
lo Stato non debba improntare i rapporti con le Regioni e le Province
Autonome  al  principio  di   leale   collaborazione   che   richiede
indubitabilmente  l'Intesa  forte  tra  gli  Enti  costitutivi  della
Repubblica, come anche espresso esplicitamente all'art. 118, comma 3,
cost., per alcune materie. 
    Tanto sopra esposto, si procede  all'esposizione  dei  motivi  di
ricorso: 
        1) Illegittimita' costituzionale degli articoli 3 e 4,  comma
4, del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40,  per  violazione  del
principio di leale  collaborazione  tra  enti  parimenti  costitutivi
della Repubblica di cui agli articoli 114, comma  le  118,  comma  3,
della Costituzione, del principio di attribuzione di cui all'art. 117
della Costituzione e del principio di sussidiarieta'  come  declinato
all'art. 118, comma 1, e all'art. 120, comma 2, della Costituzione. 
    Regione  Lombardia  ritiene  che  l'art.  4,  comma  4,   decreto
legislativo n. 40 del 2017 sia lesivo delle prerogative regionali  ed
in particolare, lesivo dell'art. 114, comma 1, e dell'art. 118, comma
1, cost., laddove impronta i rapporti tra enti parimenti  costitutivi
della Repubblica al principio di leale collaborazione ed al collegato
principio di  sussidiarieta',  specie  nelle  materie  di  competenza
regionale, concorrente o residuale; in ragione  di  cio',  unitamente
all'art.  4,  comma  4,  si   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, decreto legislativo n. 40 del  2017,  per
avere detta disposizione  individuato  le  materie  in  cui  disporre
secondo la previsione del comma 4 dell'art. 4, decreto legislativo 40
del 2017. 
    Le menzionate disposizioni vanno lette congiuntamente, al fine di
determinarsi in  ordine  alla  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale,  considerato  che  l'art.  3  delimita  l'ambito   di
operativita'  dell'art.  4,  comma  4,  decidendo  dei   settori   di
intervento, oggetto di parere. 
    La norma e' «replicata», poi, all'art. 7, comma  1,  lettera  a),
decreto legislativo n. 40 del 2017. 
    L'abrogazione richiesta con il presente ricorso  non  potra'  che
riguardare anche la  disposizione  da  ultimo  citata  per  avere  il
medesimo testo ed i medesimi effetti. 
    La ricorrente osserva che il decreto legislativo n. 40  del  2017
«interseca» molte delle materie affidate alle competenze  legislative
e amministrative delle Regioni, quali, in particolare, quelle in tema
di assistenza, protezione civile, riqualificazione  urbana,  cultura,
sport e agricoltura: materie contenute nell'art. 117, commi  1  e  2,
cost.  Questa   «intersezione»   risulta,   in   particolare,   dalla
indicazione dei «settori di intervento» di cui  all'art.  3,  decreto
legislativo n. 40 del 2017. 
    La disposizione viola altresi' l'art. 118, comma 3, cost. laddove
prevede forme di coordinamento ed intesa in specifiche materie  quali
quelle  della  immigrazione  e  della  tutela  dei  beni   culturali,
considerato che l'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017  prevede
all'art. 3 tra i settori di intervento alla  lettera  d)  quello  del
«patrimonio storico, artistico e culturale» ed  alla  lettera  g)  la
«promozione e tutela dei diritti umani». 
    La disposizione e', quindi, lesiva del principio di  attribuzione
ex art. 117 cost. e del principio di sussidiarieta', differenziazione
e adeguatezza di cui all'art. 118, comma 1, cost. 
    Ed infatti, la norma cosi' dispone:  «Il  Piano  triennale  ed  i
Piani annuali sono predisposti dalla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti
dall'art. 3 e le regioni e sono approvati con decreto del  Presidente
del Consiglio dei ministri, previo parere  della  Consulta  nazionale
per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano». 
    Teniamo a ricordare che codesta Ecc.ma Corte si e' pronunciata in
materia,  con  sentenza  n.  431  del  2005,  fissando  principi  che
riteniamo siano stati violati con la approvazione delle norme,  oggi,
impugnate. Ed infatti, la pronuncia dice: 
        «La spettanza allo Stato della competenza a  disciplinare  il
servizio  civile  nazionale  non  comporta  che  tutti  gli   aspetti
dell'attivita'  svolta  dai  giovani  in  servizio  civile   ricadano
nell'area della  potesta'  legislativa  statale.  Secondo  la  Corte,
rientra in tale competenza la disciplina dei profili organizzativi  e
procedurali  del  servizio.  Questo,   in   concreto,   comporta   lo
svolgimento di attivita' che toccano i piu' diversi ambiti materiali,
come l'assistenza sociale, la  tutela  dell'ambiente,  la  protezione
civile: «attivita' che, per gli aspetti di  rilevanza  pubblicistica,
restano soggette alla disciplina  dettata  dall'ente  rispettivamente
competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla
normativa  degli  enti  locali,  fatte  salve  le  sole  specificita'
direttamente connesse alla struttura  organizzativa  del  servizio  e
alle regole previste per l'accesso ad esso». 
    Inoltre, nell'esercizio delle funzioni  amministrative  spettanti
agli organi centrali deve essere garantita  la  partecipazione  degli
altri livelli di governo coinvolti,  attraverso  strumenti  di  leale
collaborazione  o,  comunque,  attraverso  adeguati   meccanismi   di
cooperazione.  A  questo,  del  resto,  provvede  lo  stesso  decreto
legislativo n. 77 del 2002, che attribuisce alla cura delle Regioni e
delle  Province   autonome,   secondo   le   rispettive   competenze,
l'attuazione degli interventi di servizio civile». 
    La Corte ha quindi ben evidenziato come debba essere garantita la
partecipazione  delle  regioni   attraverso   «strumenti   di   leale
collaborazione  o,  comunque,  attraverso  adeguati   meccanismi   di
cooperazione «il che non e' stato previsto dal decreto legislativo n.
40 del 2017, incorrendo nelle odierne censure di costituzionalita'. 
    Tanto premesso, Regione Lombardia ritiene che le norme  impugnate
siano quindi lesive del  principio  di  leale  collaborazione  e  del
principio di sussidiarieta'. 
    Il  principio  di  leale  collaborazione  viene  declinato  nella
giurisprudenza della Corte costituzionale gia' con la sentenza n. 219
del 1984. Nella richiamata sentenza la Corte afferma «l'auspicio  che
nell'applicazione  della  legge  i  rapporti  tra  Stato  e   Regioni
ubbidiscano assai piu' che a una gelosa, puntigliosa  e  formalistica
difesa di posizioni, competenze e  prerogative,  a  quel  modello  di
cooperazione e integrazione nel segno dei  grandi  interessi  unitari
della  Nazione,  che  la  Corte  ritiene  compatibile  col  carattere
garantistico delle norme costituzionali.» 
    Nella sentenza n. 8 del 1985, la Corte associa  il  principio  di
leale collaborazione a  quella  situazione  che  gia'  allora  veniva
definita di ordinario  «intreccio  di  interessi»  laddove  per  ogni
materia individuata nell'art. 117, osserva la Corte «non  e'  esclusa
la  possibilita'  di  identificare  materie  sostanzialmente  diverse
secondo la diversita' degli interessi, regionali o  sovra  regionali,
desumibile dall'esperienza sociale e giuridica...». 
    Il rapporto fra competenze  statali  e  competenze  regionali  va
ricostruito alla luce del principio  cooperativo.  La  giurisprudenza
costituzionale  e'  tutta  tesa,  quindi,  alla   graduazione   degli
strumenti  di  leale  collaborazione,  che  va   dallo   scambio   di
informazioni, alla consultazione e al parere, all'intesa «debole»  e,
infine, all'intesa «forte». 
    Dopo la riforma Titolo V° della Parte II della Costituzione  sono
aumentate le aeree di sovrapposizione tra competenze e interessi. 
    Considerato che permangono le competenze  concorrenti,  tutte  le
materie elencate nel secondo e terzo comma dell'art. 117  perdono  di
«solidita'» amministrativa o si «smaterializzano», perche'  non  sono
piu'  legate  a  specifiche  strutture  e  alle   relative   funzioni
amministrative. 
    Non  solo,  alcune  delle  materie  piu'  importanti  tra  quelle
elencate come «esclusive» dello Stato hanno  subito  un  processo  di
rilettura come «materie trasversali» (o «materie -  non  materie»,  o
«materie-obiettivo»   o    «materie-funzione»    o    «materie-valore
costituzionale»,  la  cui  principale  caratteristica   e'   di   non
delimitare ambiti piu' o meno precisi  di  competenza  ma  di  essere
costruite per interferire con competenze e interessi delle Regioni. 
    Dunque se l'interferenza tra competenze e'  aumentata,  si  avra'
l'esigenza di applicare il principio della  leale  collaborazione  al
fine di arginare o, laddove possibile,  evitare  conflitti.  Ora,  le
esigenze  di   leale   collaborazione   si   devono   integrare   con
l'attenuazione del rapporto di gerarchia tra Stato e  Regioni  e  dal
corrispondente affermarsi, all'art. 114, una tendenza  paritaria  che
mira a porre sullo stesso piano i  diversi  livelli  di  governo.  La
sentenza n. 31 del 2006 si pone in tale verso. 
    Anche se e'  vero  che  la  valutazione  della  dimensione  degli
interessi continua a ricordare la classica distinzione tra  interessi
frazionabili e  interessi  non  frazionabili,  ovvero  tra  interesse
nazionale, regionale e interesse «esclusivamente locale»,  dall'altra
parte  e'  altresi'  vero  che  «sussidiarieta'»   ed   «adeguatezza»
esprimono principi che necessariamente conducono ad un  rafforzamento
del rapporto tra «supremazia - collaborazione». 
    Questa breve ricostruzione trova al momento  la  sua  definizione
nella sentenza n. 251  del  2016.  La  pronuncia  e'  di  particolare
interesse,  perche'  aggiunge  un  nuovo  importante  tassello   alla
giurisprudenza, in tema di leale  collaborazione,  principio  la  cui
violazione puo' d'ora in poi essere fatta valere  non  soltanto  come
vizio in procedendo nell'iter formativo del decreto  legislativo,  ma
anche per censurare direttamente la legge di delegazione, dall'altro,
perche' riaccende il dibattito sulla questione dei  «mobili  confini»
che separano l'intesa (in senso forte e in senso debole)  dal  parere
obbligatorio; dice la Corte: 
    «Il parere  come  strumento  di  coinvolgimento  delle  autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n.  1  del  2016).  Quel
principio e' tanto piu' apprezzabile se si considera  la  «perdurante
assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e,  piu'
in generale, dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010)
e diviene dirimente nella considerazione  di  interessi  sempre  piu'
complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori. 
    Un'analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni e gli
enti locali nella forma dell'intesa e' stata riconosciuta anche nella
diversa ipotesi della attrazione  in  sussidiarieta'  della  funzione
legislativa allo Stato, in vista dell'urgenza di soddisfare  esigenze
unitarie, economicamente rilevanti, oltre che connesse  all'esercizio
della funzione amministrativa. In tal caso, l'esercizio unitario  che
consente di attrarre, insieme  alla  funzione  amministrativa,  anche
quella  legislativa,  puo'  aspirare  a   superare   il   vaglio   di
legittimita' costituzionale - e giustificare la deroga al riparto  di
competenze contenuto  nel  Titolo  V  -  «solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,  ovverosia  le
intese, che devono essere condotte in base al principio  di  lealta'»
(sentenza n. 303 del 2003; di recente, sentenza n. 7 del 2016)». 
    La difesa regionale tiene ad evidenziare questo  passaggio  della
sentenza; nella fattispecie, Regione  Lombardia  ritiene  violato  il
principio  di  leale  collaborazione:  l'esercizio   unitario   della
funzione legislativa in materia di servizio civile nel momento in cui
interseca materie di competenza regionale  deve  prevedere  l'intesa,
violando altrimenti la carta costituzionale. 
    Infatti, dice la sentenza: 
        «Questa Corte ha individuato nel sistema delle conferenze «il
principale strumento che consente alle  Regioni  di  avere  un  ruolo
nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali
che incidono su materie di competenza regionale» (sentenza n. 401 del
2007) e «[u]na delle sedi  piu'  qualificate  per  l'elaborazione  di
regole   destinate   ad   integrare   il   parametro   della    leale
collaborazione» (sentenza n. 31 del 2006). 
    In armonia con tali indicazioni, l'evoluzione impressa al sistema
delle conferenze finisce con il rivelare una  fisiologica  attitudine
dello Stato alla consultazione delle Regioni  e  si  coniuga  con  il
riconoscimento, ripetutamente operato da questa Corte, dell'intesa in
sede di Conferenza unificata, quale strumento idoneo a realizzare  la
leale collaborazione tra  lo  Stato  e  le  autonomie  (ex  plurimis,
sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n.  163  del  2012),  «qualora  non
siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente imputabili
al singolo ente autonomo» (sentenza n. 1 del 2016). 
    ... E' pur vero che questa Corte ha piu' volte affermato  che  il
principio di leale  collaborazione  non  si  impone  al  procedimento
legislativo. La' dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a
riformare istituti che incidono su competenze  statali  e  regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost. 
    Tali  decreti,  sottoposti  a  limiti  temporali  e  qualitativi,
condizionati quanto alla validita' a tutte le  indicazioni  contenute
non solo nella Costituzione, ma anche, per volonta' di  quest'ultima,
nella legge di delegazione, finiscono, infatti, con l'essere attratti
nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno  rispetto
del riparto costituzionale delle competenze». 
    L'intervento del legislatore delegato anche in  ambiti  materiali
di  competenza  regionale,  pur  legittimato  dalla   necessita'   di
garantire una disciplina unitaria per «fenomeni sociali complessi» su
tutto il territorio nazionale, risulta allora conforme a Costituzione
soltanto nella  misura  in  cui  il  Governo  realizzi  un  confronto
autentico con le autonomie territoriali, necessitato proprio dal fine
di contemperare la compressione delle loro competenze. 
    L'art.  120,   comma   2   associa   il   «principio   di   leale
collaborazione» al «principio di sussidiarieta'». Il concetto e'  ben
espresso, tra le altre, dalla sentenza n. 213  del  2006:  «L'analisi
dell'intreccio delle competenze deve essere effettuata caso per caso,
con   riguardo   alle   concrete   fattispecie   normative,   facendo
applicazione del principio di prevalenza e del principio fondamentale
di leale collaborazione,  che  si  deve  sostanziare  in  momenti  di
reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario  coordinamento
dei livelli di governo statale e regionale». 
    Quindi, il criterio di prevalenza non dissolve di per se' tutti i
dubbi di  legittimita'  della  legge  statale,  escludendo  sempre  e
comunque  che  il  principio  di  leale   collaborazione   entri   in
considerazione. 
    In questi casi  (si  veda  la  sentenza  n.  303  del  2003),  e'
indispensabile «annettere ai principi di sussidiarieta' e adeguatezza
una  valenza  squisitamente  procedimentale,  poiche'  l'esigenza  di
esercizio unitario che consente di attrarre,  insieme  alla  funzione
amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il
vaglio  di  legittimita'  costituzionale  solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,  ovverosia  le
intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'». 
    L'obbligo di collaborazione reciproca e' costantemente  affermato
dalla Corte come presupposto operativo del «sistema». La sentenza  n.
251 del 2016, sopra richiamata, ben illustra anche sotto tale profilo
quale debba essere  la  modalita'  secondo  cui  gli  enti  parimenti
costitutivi della  Repubblica  e  con  competenze  costituzionalmente
garantite ex articoli 117 e 118 cost. debbano improntare i  reciproci
rapporti. 
    Ora da quanto sopra  detto,  a  giudizio  di  regione  Lombardia,
appare necessaria l'intesa al fine  di  declinare  correttamente  gli
ambiti di materia indicati nell'art. 3 del decreto legislativo n.  40
del 2017. 
    Regione Lombardia ritiene che avrebbe dovuto essere prevista  una
Intesa forte (cfr. sentenza della Corte  costituzionale  n.  207  del
1996). 
    Infatti, questa Ecc.ma Corte  ha  affermato,  con  giurisprudenza
costante, che, nei casi di attrazione in sussidiarieta'  di  funzioni
relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e
Regioni, e' necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni
interessate, il raggiungimento di un'intesa, in modo da  contemperare
le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e  la  garanzia
delle  funzioni  costituzionalmente  attribuite  alle   Regioni   (ex
plurimis, sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 251 del 2016). 
    La  previsione  dell'intesa,  imposta  dal  principio  di   leale
collaborazione, implica che non sia legittima  una  norma  contenente
una «drastica previsione» della decisivita'  della  volonta'  di  una
sola parte, in caso di dissenso,  ma  che  siano  necessarie  «idonee
procedure per consentire reiterate trattative  volte  a  superare  le
divergenze» (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24  del  2007,
n. 339 del 2005). Solo nell'ipotesi di ulteriore  esito  negativo  di
tali procedure mirate all'accordo, puo' essere rimessa al Governo una
decisione unilaterale (sentenza n. 33 del 2011). 
    La norma impugnata configura una di quelle  drastiche  previsioni
di superamento unilaterale dell'intesa da parte dello Stato, ritenute
dalla giurisprudenza di questa Corte come inidonee ad  assicurare  il
rispetto del principio di leale  collaborazione,  particolarmente  in
rilievo nelle ipotesi di attrazione in sussidiarieta'. 
    Non e' prevista infatti  alcuna  articolazione  procedurale,  che
possa consentire un superamento concordato del dissenso. 
    Il principio della leale collaborazione e della necessaria intesa
quale strumento regolatorio appare  leso  ai  seguenti  articoli  del
decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40: 
    1.  Art.  3  -  nella  elencazione  delle  aree   intervento   si
evidenziano  materie  di  competenza   residuale   regionale   ovvero
concorrente; 
    2. Art. 4 - l'intervento regionale limitato  a  «sentite»  ovvero
«previo parere»; 
    3. Art. 7 - il coinvolgimento delle regioni risulta marginale. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  4,
comma 4, decreto legislativo n. 40 del 2017 - da leggersi  unitamente
all'art. 3 che viene ad elencare i settori di intervento dello stesso
decreto legislativo n. 40 del 2017,e per come  ripetuto  all'art.  7,
comma 1, lettera a),  venga  dichiarato  incostituzionale,perche'  in
violazione del principio di leale collaborazione,  del  principio  di
attribuzione e del principio  di  sussidiarieta'  per  come  previsti
dall'art. 114, comma 1, dall'art. 117, dall'art. 118 e dall'art. 120,
comma 2 della Costituzione. 
        2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma   1,
lettera  d)  del  decreto  legislativo  6  marzo  2017,  n.  40,  per
violazione dei principi di buona amministrazione  proporzionalita'  e
ragionevolezza, del principio di attribuzione  di  cui  all'art.  117
della Costituzione e del principio di autonomia finanziaria di  spesa
di cui all'art. 119, comma 1, della Costituzione. 
    L'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto  legislativo  6  marzo
2017, n. 40 subordina l'attuazione di programmi  di  servizio  civile
universale, da parte delle Regioni, con risorse proprie, alla  previa
approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente
nella verifica del  rispetto  dei  principi  e  delle  finalita'  del
servizio civile universale. 
    Il decreto legislativo all'art. 7, comma 1, lettera d) limita  la
potesta' regionale di cui alla legge delega (art. 8, comma 1, lettera
d),  terzo  periodo),prevedendo  una   «previa   approvazione   della
Presidenza del Consiglio dei ministri» il che si traduce, appunto, in
una limitazione  della  potesta'  regionale  attribuita  dalla  legge
delega come «autonoma» da esercitarsi a valere su  «risorse  proprie»
ed al contempo, in un ulteriore ed inutile passaggio procedurale,  in
violazione del principio di buona amministrazione. 
    Tale previsione  e'  anche  lesiva  del  principio  di  autonomia
finanziaria di spesa riconosciuta alle Regioni dall'art.  119,  comma
1,  cost.,  laddove  prevede  che  i  programmi  di  servizio  civile
universale - per quanto adottati con «risorse proprie» delle regioni,
siano soggetti a «previa approvazione della Presidenza del  Consiglio
dei ministri.». 
    Infatti, la disposizione di cui all'art. 7, comma l,  lettera  d)
cosi' recita: 
        «Le regioni e le Province autonome di Trento  e  di  Bolzano:
... attuano programmi  di  servizio  civile  universale  con  risorse
proprie presso i soggetti accreditati all'albo degli enti di servizio
civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio
dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi  e
delle finalita' del servizio civile universale  di  cui  al  presente
decreto». 
    L'autorizzazione  prevista  dall'art.  7,  comma  1,  lettera  d)
diviene un improprio ed illegittimo subprocedimento  all'interno  del
procedimento  regionale,  per  come  previsto  dalla  legge   delega,
espressione della volonta' governativa  di  esercitare  un  controllo
finanziario e di merito dei programmi regionali di servizio civile. 
    La disciplina oggi in discussione e' stata disegnata diversamente
da quella previgente  incorrendo  proprio  in  quelle  illegittimita'
costituzionali di cui la Corte  aveva  ritenuto  indenne  il  decreto
legislativo   n.   77   del   2002:   la   Corte   riteneva   venisse
assicurato(sentenza n. 431 del 2005, par. 5.2.3)  «il  coinvolgimento
di organi di governo diversi da quelli centrali nell'esercizio  delle
funzioni amministrative relative al  servizio  civile  nazionale  ...
attraverso  una  pluralita'  di  strumenti,  tra  i  quali  vanno  in
particolare ricordati: il conferimento alle Regioni e  alle  Province
autonome della cura dell'«attuazione  degli  interventi  di  servizio
civile secondo le  rispettive  competenze»  (art.  2,  comma  2);  la
previsione del potere delle Regioni  e  delle  Province  autonome  di
esaminare  ed  approvare  i  progetti  presentati   dagli   enti   ed
organizzazioni che svolgono attivita'  nell'ambito  delle  competenze
regionali o provinciali  sul  loro  territorio  (art.  6,  comma  5);
l'attribuzione anche alle Regioni e alle Province autonome del potere
di curare, nell'ambito delle rispettive competenze, il  monitoraggio,
il controllo e la verifica  dell'attuazione  dei  progetti  (art.  6,
comma 6). 
    La norma in argomento viola anche il principio di attribuzione ex
art. 117 cost. 
    Come dice sempre codesta Ecc.ma Corte, con sentenza  n.  431  del
2005 (par. 5.2.3), dalla disciplina di cui al decreto legislativo  n.
77 del 2002 ne derivava «la delineazione di un sistema nel quale allo
Stato e' riservata la programmazione e l'attuazione  dei  progetti  a
rilevanza nazionale ed  alle  Regioni  e  alle  Province  autonome  e
demandato il  compito  di  occuparsi,  nell'ambito  delle  rispettive
competenze, della  realizzazione  dei  progetti  di  servizio  civile
nazionale di rilevanza regionale o provinciale,  nel  rispetto  delle
linee  di  programmazione,  indirizzo  e  coordinamento  tracciate  a
livello centrale e delle norme  di  produzione  statale  individuanti
caratteristiche uniformi per tutti  i  progetti  di  servizio  civile
nazionale». 
    Teniamo a ricordare che codesta Ecc.ma Corte si e' pronunciata in
materia,  con  sentenza  n.  431  del  2005,  fissando  principi  che
riteniamo siano stati violati con la approvazione delle nonne,  oggi,
impugnate. Ed infatti, la pronuncia dice: 
        «la riconduzione degli aspetti  organizzativi  e  procedurali
del servizio civile nazionale alla competenza legislativa statale non
preclude alle Regioni e alle Province autonome  «la  possibilita'  di
istituire  e  disciplinare,  nell'autonomo  esercizio  delle  proprie
competenze  legislative,  un  proprio  servizio  civile  regionale  o
provinciale,  distinto  da   quello   nazionale»,   nell'ottica   del
perseguimento, dell'ampia finalita' di realizzazione del principio di
solidarieta' espresso dall'art. 2 della Costituzione». 
    Se dunque gli aspetti procedurali e  organizzativi  del  servizio
civile nazionale ricadono sotto la legislazione  statale,  del  tutto
possibile resterebbe tuttavia in capo a Regioni e  Province  autonome
la possibilita' di  istituire  e  disciplinare  un  proprio  servizio
civile regionale o provinciale, che pero' deve  ritenersi  del  tutto
distinto da quello nazionale disciplinato con sue  proprie  nonne,  e
che dovrebbe avere natura sostanzialmente diversa dal servizio civile
nazionale, non essendo riconducibile al dovere di difesa. 
    La  norma   impugnata   violerebbe   anche   l'art.   118   della
Costituzione,  ai  sensi  del  quale,   soltanto   qualora   sussista
un'esigenza di esercizio unitario, le funzioni amministrative possono
essere sottratte ai Comuni ed affidate ad un livello territorialmente
piu'   esteso,   sulla   base   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza. 
    Cio' perche', nella prospettiva accolta dall'art. 118 cost., allo
Stato  spetta  valutare  l'esigenza   di   esercizio   unitario   con
riferimento ad interessi di rilevanza nazionale, ma non  ad  esigenze
che si esauriscono a livello regionale. 
    La norma impugnata violerebbe il  principio  di  autonomia  della
spesa di cui all'art. 119, comma 1, della Costituzione. Cio' perche',
come chiarito dalla  giurisprudenza  costituzionale  (tra  le  altre,
sentenza n. 417 del 2005, sentenza n. 77 del 2015), la disciplina  di
principio  dei  vincoli  finanziari  si  configura  compatibile   con
l'autonomia degli enti costituzionalmente garantiti, come le  Regioni
ed  i  Comuni,  solo  quando  stabilisce  tassativamente  un   limite
complessivo di  intervento  -  avente  ad  oggetto  o  l'entita'  del
disavanzo di parte corrente o  i  fattori  di  crescita  della  spesa
corrente - lasciando agli enti stessi piena autonomia e  liberta'  di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa. 
    Da ultimo, la Corte ha ribadito tale orientamento,  con  sentenza
n. 64 del 2016: «la finanza delle Regioni, delle Province autonome  e
degli enti locali e' «parte della finanza pubblica allargata» e  che,
pertanto,  il  legislatore  statale  puo',  con  una  disciplina   di
principio, legittimamente imporre alle Regioni e  agli  enti  locali,
per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad  obiettivi
nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,
in  limitazioni  indirette  all'autonomia   di   spesa   degli   enti
territoriali, purche' le disposizioni  statali  prevedano  un  limite
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente,  che  lasci
alle Regioni liberta' di allocazione  delle  risorse  tra  i  diversi
ambiti  ed  obiettivi  di  spesa,  e  abbiano  il   carattere   della
transitorieta'...». 
    Piu' in particolare, la scrivente Regione dubita che la  verifica
attribuita al Governo con la norma impugnata, costituisca un  profilo
riconducibile alla legislazione esclusiva dello Stato.  Cio'  perche'
tali funzioni vanno individuate con riferimento all'art. 8, comma  1,
lettera d), della legge delega n. 106 del 2016 oltreche' ai  principi
affermati dalla giurisprudenza di codesta Corte e che  sopra  abbiamo
richiamato. 
    La Regione puntualizza  che  la  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato non puo' estendersi oltre  i  limiti  indicati  nell'art.
117,  secondo  comma,  Cost.,  traendo  spunto  dalla  giurisprudenza
costituzionale per  affermare  che  risulta,  altresi',  evidente  la
sussistenza di una competenza legislativa residuale delle Regioni, in
base al criterio di riparto stabilito nel nuovo art.  117  Cost.,  il
quale, elencando solo le materie di competenza esclusiva statale e di
competenza concorrente,  consente  di  far  rifluire  nella  potesta'
residuale delle Regioni quelle non esplicitamente incluse nell'uno  o
nell'altro ambito (sentenza n. 261 del 2011). 
    Inoltre gli articoli 118 e 119  fissano  i  limiti  di  esercizio
della stessa competenza esclusiva, con la previsione di strumenti  di
cooperazione e di intesa in specifiche materie. 
    La ricorrente intende porre in risalto la  contraddizione  logica
della disciplina impugnata rispetto a quanto previsto  in  precedenza
dal decreto legislativo n. 77 del 2002, concludendo che il cambio  di
direzione attuato con l'intervento normativo oggetto di  impugnazione
pregiudica la concreta operativita' delle  amministrazioni  comunali,
anche   per   cio'   che   attiene   all'esercizio   delle   funzioni
amministrative di competenza regionale, in violazione  del  principio
di buon andamento dell'azione amministrativa  tutelato  dall'art.  97
Cost. 
    A parere della ricorrente, le disposizioni impugnate violerebbero
anche l'art. 118 Cost., nella  parte  in  cui  disciplinano  funzioni
amministrative diverse da quelle spettanti allo  Stato,  comprimendo,
altresi',  l'esercizio  di  funzioni  amministrative   di   spettanza
regionale. 
    Richiamati,  in  linea  generale,   i   principi   che   regolano
l'individuazione della competenza legislativa, e che  devono  trovare
applicazione nelle fattispecie qui in esame, si deve stabilire se  le
norme impugnate possano essere ricondotte alla materia «coordinamento
della  finanza  pubblica»  ex  art.  117,  comma  3,   cost.,   unica
giustificazione perche' possa non dirsi violato l'art. 119 cost. 
    Regione Lombardia ritiene che la  disposizione  impugnata  ecceda
tali confini,  attribuendo  direttamente  al  Governo  un  potere  di
verifica  sull'intero  spettro  delle  attivita'   amministrative   e
finanziarie della Regione, e cio' anche nel caso non  sussista  alcun
squilibrio finanziario, neppure nei singoli  settori  di  intervento,
oggetto di disciplina. 
    Come ha precisato codesta Ecc.ma Corte con sentenza  n.  219  del
2013, «il grado e la rilevanza costituzionale dell'autonomia politica
della Regione si misura  anche  sul  terreno  della  sottrazione  dei
propri  organi  e  dei  propri  uffici  ad  un  generale  potere   di
sorveglianza da parte del Governo, analogo a quello che spetta invece
nei  confronti  degli  enti  appartenenti  al  plesso   organizzativo
statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera g), cost... 
    Allo scopo di contemperare l'autonomia costituzionale del sistema
regionale con l'interesse unitario alla sana gestione  amministrativa
e finanziaria, e a soli fini collaborativi, l'art. 3 della  legge  n.
20 del 1994 ha individuato nella Corte dei conti  l'organo  al  quale
riservare  il  potere  di  «effettuare   e   disporre   ispezioni   e
accertamenti diretti», anche nei  confronti  delle  Regioni  e  delle
Province autonome.... 
    Difatti,   tale   organo   agisce   «quale   garante   imparziale
dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico», «di modo
che l'imputazione alla Corte dei conti del controllo  sulla  gestione
esercitabile anche nei confronti delle amministrazioni regionali  non
puo' essere considerata come  l'attribuzione  di  un  potere  che  si
contrappone alle autonomie delle regioni» (sentenza n. 29 del 1995)». 
    Regione Lombardia ritiene che la norma impugnata supera il  punto
di sintesi che si era in tal modo raggiunto a  tutela  dell'autonomia
regionale, affidando al Governo l'esercizio di un potere di  verifica
in danno delle Regioni e delle Province autonome. 
    Tale assetto normativo eccede i limiti  propri  dei  principi  di
coordinamento  della  finanza  pubblica,  e   si   ripercuote   sulla
competenza  legislativa   regionale.   Anzitutto,   poiche'   riserva
all'apparato ministeriale un compito che non gli e' proprio, in danno
della autonomia regionale, per come anche  evidenziata  nell'art.  8,
comma l, lettera d), della legge  delega  n.  106  del  2016;  e  poi
perche' cio' accade in  difetto  di  proporzionalita'  tra  il  mezzo
impiegato ed il fine perseguito, in violazione del principio di buona
amministrazione. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto,  si  chiede  che  l'art  7,
comma 1, lettera d) del decreto legislativo n.  40  del  2017,  venga
dichiarato incostituzionale per violazione della norma di  delega  di
cui all'art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo della legge n. 106
del 2016, per violazione dei  principi  di  buona  amministrazione  e
ragionevolezza, del principio di attribuzione di cui all'art.  117  e
del principio di autonomia finanziaria di spesa di cui all'art.  119,
comma 1, della Costituzione.